Continuità aziendale sotto pressione: come il revisore può individuare e gestire i primi segnali di rischio

Negli ultimi anni, la valutazione della continuità aziendale è diventata una delle aree più delicate del lavoro del revisore. Non si tratta più solo di un adempimento formale richiesto dall’ISA Italia 570, ma di un vero e proprio banco di prova per la capacità del professionista di leggere la realtà aziendale e prevenire situazioni di crisi.

Con l’evoluzione del contesto economico e normativo — dal Codice della crisi d’impresa alla recente giurisprudenza — la responsabilità del revisore si è ampliata: oggi è chiamato non solo a valutare la continuità, ma anche a documentare e motivare in modo puntuale le proprie conclusioni.

La valutazione della continuità: un processo, non un momento

Troppo spesso la verifica della continuità aziendale viene concentrata nella fase finale della revisione, quasi come un check di chiusura. In realtà, il revisore deve affrontarla come un processo dinamico che attraversa tutto il lavoro: dalla pianificazione all’emissione della relazione.

In pratica, il revisore dovrebbe:

  • Analizzare gli indicatori preliminari (covenant bancari, debiti tributari, tensioni di liquidità, margini negativi ricorrenti);
  • Intervistare la direzione sulla capacità di reperire fonti di finanziamento e sull’andamento dei flussi di cassa prospettici;
  • Valutare la coerenza dei piani aziendali rispetto ai dati storici e ai trend di settore;
  • Aggiornare la propria valutazione ogni volta che emergono nuovi elementi, anche in corso d’anno.

Il revisore tra vigilanza e collaborazione

Una delle criticità più frequenti è la gestione del rapporto con gli amministratori: spesso la direzione tende a minimizzare i rischi di continuità, fornendo proiezioni ottimistiche o piani di risanamento generici.

Il revisore, in questi casi, deve trovare un equilibrio tra atteggiamento collaborativo e ferma indipendenza professionale.
Può — e deve — richiedere documentazione di supporto, simulazioni di scenari alternativi, e verificare la credibilità delle ipotesi.
L’assenza di evidenze sufficienti o di piani concreti può costituire una limitazione al lavoro o addirittura portare a una modifica del giudizio (richiamo d’informativa o rilievo).

Documentare la valutazione: il vero punto di forza del revisore

Oggi, le carte di lavoro rappresentano il principale presidio di tutela del revisore.
In caso di contestazioni o azioni di responsabilità, ciò che fa la differenza non è tanto cosa ha pensato, ma cosa ha documentato.

È quindi buona prassi:

  • Conservare ogni evidenza utilizzata (estratti contabili, verbali, corrispondenze, piani industriali);
  • Annotare le discussioni avute con la direzione e le motivazioni delle proprie conclusioni;
  • Esplicitare i limiti incontrati, le incertezze e gli eventuali indicatori di crisi rilevati.

La valutazione della continuità aziendale non è più solo un esercizio contabile: è un’analisi complessa, che richiede intuito, metodo e indipendenza.
Il revisore che affronta questa attività con approccio documentato e proattivo non solo tutela se stesso, ma svolge un ruolo chiave nella salvaguardia della vita dell’impresa.

La differenza, oggi, non la fa chi “vede” la crisi, ma chi la sa leggere per tempo.

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