Revisione in pratica: come gestire il rischio tra fase permanente e fase corrente

Nel lavoro del revisore, tutto ruota intorno a un concetto chiave: il rischio di esprimere un giudizio errato su un bilancio che contiene errori significativi. L’ISA Italia 330 spiega come fronteggiare questo rischio, ma nella pratica la gestione si articola in due momenti distinti e complementari: la fase permanente e la fase corrente.
Capire la differenza è fondamentale per impostare un approccio di revisione coerente, efficiente e ben documentato.

1. La Fase Permanente: le fondamenta dell’approccio di revisione

La fase permanente è la base su cui si costruisce tutto il lavoro di revisione. Qui il revisore raccoglie e aggiorna la conoscenza dell’impresa, del suo ambiente e del sistema di controllo interno — informazioni che restano valide nel tempo e orientano la pianificazione di ogni ciclo di audit.

Ambiente di controllo e impatto sulle risposte generali

Un ambiente di controllo solido consente al revisore di avere maggiore fiducia nelle informazioni prodotte internamente e di pianificare in modo più efficiente (ad esempio, anticipando alcune verifiche a una data intermedia).
Al contrario, se il sistema di controllo risulta debole, il revisore dovrà:

  • Spostare più procedure a fine esercizio;
  • Aumentare le verifiche sostanziali (procedure di validità);
  • Ampliare la numerosità dei test o la quantità di elementi probativi.

Le risposte generali — come l’impiego di personale più esperto o una supervisione più intensa — nascono da questa fase, anche se vengono attuate durante la revisione dell’anno in corso.

Uso del lavoro svolto negli anni precedenti

La fase permanente regola anche quando e come è possibile riutilizzare gli elementi probativi di precedenti revisioni:

  • Controlli invariati: se un controllo non è cambiato e non copre un rischio significativo, può essere riesaminato almeno una volta ogni tre anni, purché si effettui una verifica minima ogni anno.
  • Controlli modificati o rischi elevati: vanno testati nuovamente nel periodo in corso.
  • Procedure di validità: in genere non si riutilizzano da un anno all’altro, salvo casi particolari (come un parere legale ancora valido e verificato nella sua attualità).

In breve, la fase permanente serve a costruire continuità nel giudizio professionale e ad evitare di “ripartire da zero” ogni esercizio.

2. La Fase Corrente: la risposta concreta ai rischi identificati

Durante la fase corrente, il revisore passa all’azione: progetta e svolge procedure mirate in base ai rischi individuati a livello di asserzioni.
L’obiettivo è ottenere elementi probativi tanto più solidi quanto più alto è il rischio valutato.

Scelta dell’approccio

Il revisore può seguire tre modalità operative:

  1. Solo test di controllo, se il sistema interno è ritenuto efficace;
  2. Solo procedure sostanziali, se i controlli non offrono garanzie sufficienti;
  3. Approccio combinato, che integra entrambi (spesso il più equilibrato).

Indipendentemente dall’approccio, le procedure sostanziali restano sempre obbligatorie per ogni area rilevante, perché nessun sistema di controllo è immune da limiti o manipolazioni.

Tempistica delle verifiche

  • Data intermedia: utile per ottimizzare i tempi, ma richiede procedure integrative fino a fine esercizio per coprire il periodo residuo.
  • Fine esercizio: necessaria per verifiche conclusive come riconciliazioni contabili, rettifiche o controlli legati al rischio di frode (spesso da svolgere senza preavviso).
  • Test dei controlli: devono essere effettuati nel momento in cui il revisore intende farvi affidamento, o per l’intero periodo oggetto di verifica.

Estensione delle procedure

Più alto è il rischio, più ampio deve essere il campione o il numero di osservazioni. L’uso di strumenti informatici di revisione consente oggi di ampliare il raggio d’azione, arrivando anche ad analizzare l’intera popolazione di operazioni.

3. Documentare per dimostrare

Ogni decisione e ogni procedura devono essere documentate in modo chiaro e completo.
La carta di lavoro deve mostrare:

  • Le risposte generali ai rischi e le procedure conseguenti svolte;
  • I risultati ottenuti e le conclusioni raggiunte;
  • Le motivazioni per cui si è fatto affidamento (o meno) su test di anni precedenti.

In pratica, la documentazione deve consentire a un revisore terzo di comprendere cosa è stato fatto, perché e con quali esiti, garantendo la tracciabilità del giudizio espresso sul bilancio.Gestire efficacemente la risposta al rischio non significa solo rispettare l’ISA 330, ma costruire un approccio di revisione solido, coerente e ben motivato.
La chiave è mantenere un equilibrio tra la fase permanente — che consolida conoscenza e metodo — e la fase corrente, dove si mettono in pratica le strategie per ottenere prove affidabili e supportare un giudizio professionale robusto.

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